La mortadella del Vittorio

Passava, il Vittorio, da sud a nord, sulla strada vicinale delle Biuse di sopra, all’andata, con un palo di 4 metri, al ritorno più veloce perché era scarico, la cosa si ripetè più volte, quel pomeriggio di Agosto.
Tenuto conto che lui aveva una settantacinquina di anni e che i pali che gli servivano per il rifacimento del tetto di una delle tante baite che possedeva e che pesavano una trenta-quarantina di kg è stato normale che lo invitassimo a fermare la sua passeggiata pendolare e ad unirsi a noi che avevamo un problema con una mortadella, a 5 metri di dislivello in discesa superabili con una quindicina di gradini in discesa.
Lui aderì subito e disse: “Va bene, proprio perché sei tu”.
Mia figlia (nostra figlia) Raffaella era appena tornata da un campo estivo dell’oratorio di Cannobio dove aveva svolto il ruolo di animatrice, al ritorno, ci aveva offerto l’opportunità di ritirare, a pagamento s’intende, parte delle vettovaglie avanzate; noi genitori avevamo optato per la mezza mortadella ungherese, sapete, quella di grana fine, leggermente affumicata, che a mio giudizio era una bontà.
Avendo ottenuto l’avallo da parte del mio capo, mia moglie, l’abbiamo acquistata, destinandola per una sorta di antipasto ai partecipanti al pranzo per la festa dell’Alpe che cade sempre la prima domenica di agosto di tutti gli anni.
Però c’era un altro scoglio da superare, rappresentato dal giudizio insindacabile del Sindaco, da trent’anni Sindaco, Sindaco di tutto, anche della festa della Madonna delle nevi, all’Alpe Biuse. Il suo giudizio inequivocabile fu: L’è mia bona, L’am pias mia.
Fu la fine di un dubbio, non era buona, e basta!
Poi, il pragmatismo, che aiuta a risolvere situazioni spinose, mi consigliò di scegliere la soluzione più semplice: quello che non è buono per il Sindaco, è buono per noi.
Ed eravamo lì, quel giorno, con diversi amici, che assaggiavamo questa leccornia, confermandoci a vicenda che il Sindaco aveva poco gusto, e scese il Vittorio da questi quindici gradini.
Lo “Zio” all’invito risponde di si, perché ci sei tu, logico che mi sento altamente onorato, e quindi, così ben disposto ascolto avidamente i racconti: veramente erano iniziati prima in modo graduale nel senso di guadagnare la fiducia, dopo ho capito perché, infatti i racconti erano fatti da una persona intelligente e scaltra, che aveva praticato i “viaggi” a “portare il sacco” in modo autonomo e continuativo, dal periodo “glorioso” della sopravvivenza, a quello successivo dell’accumulo vero e proprio, che pochi hanno saputo percorrere.
Ma lasciamo parlare lui:
Io viaggiavo da solo perché non mi fidavo, la gente quando ha bevuto un bicchiere parla a vanvera, ed io ho sicuramente avuto tanta gente che mi ha voluto bene e mi ha aiutato, ma qualcuno invidioso sicuramente c’è stato.
In paese eravamo in tanti a portare il sacco, e c’era il sistema di segnalazione, esporre il lenzuolo bianco, chiamare le capre, specialmente fuori stagione, oppure , la nonna che faceva la calza sulla porta, e altre cose, ma io, ripeto preferivo viaggiare solitario, avevo anche i miei sentieri, che non sapeva nessuno, una volta che stavo percorrendo il mio sentiero, mi sono incontrato con un paesano, e per non svelargli il mio percorso ho accettato di andare con lui per il sentiero normale che tutti usavano, ebbene, ho dovuto mollare, perché come sospettava il mio sesto senso, ad Arnascio, erano lì che ci aspettavano, i Borlanda.
C’è stato un periodo che avevamo fatto un accordo con il brigadiere, che comandava a Cavaglio, lui non voleva che lasciavamo una bricolla ogni tanto, voleva i soldi, 12000 lire a viaggio, ti parlo del 1958/60, e lui mandava la moglie a prendere mezzo litro di latte al giorno da mia mamma, che avevamo le mucche, facendo così lui non si comprometteva e non rischiava la pensione e la moglie invece poteva anche essere smentita da lui, è sempre stato corretto però, noi non dovevamo neanche salutarlo per strada, la massima indifferenza, quando ha chiesto il trasferimento, ci ha detto: sapete la corda non si può tirare all’infinito, prima che si spezzi ho chiesto di andare via, datevi da fare fin che sono qui, non si sa mai col prossimo che arriverà …
Io non ho mai fumato, ma molti finanzieri, sì, inoltre si profumavano, così io li sentivo a 100 metri di distanza, nel bosco, e così li evitavo, c’è stato un periodo che il Comandante di Cannobio, era un capitano, ha dotato i distaccamenti dei cani lupo, che avevano una fama terribile.
Tanto che molti avevano smesso, ma io mi sono detto: voglio proprio vedere se li liberano durante i fermi, oppure se non possono e li tengono al guinzaglio, per saperlo ho mollato una bricolla vicino al posto di blocco che decisi di incrociare poi sono scappato, loro mi hanno rincorso, ma non hanno liberato il cane, naturalmente non mi hanno preso, che io ero come un camoscio, così ho proprio capito che potevo viaggiare ancora.
La casa dei miei genitori dove abitavo anch’io era vicinissima alla caserma, e io portavo i miei sacchi proprio lì, perché loro non avrebbero mai pensato che a 30 mt dalla caserma ci fossero depositate le bricolle che loro cercavano sempre di sequestrare.
Quando dovevo portarle a destinazione le facevo sfilare da un buco nella rete di recinzione del mio giardino, e siccome logicamente era di notte, avevo brevettato un sistema per spegnere la lampadina di illuminazione pubblica che era proprio sopra casa mia, avevo preso una lunga pertica che avevo aperto in testa, con quattro tagli, con questo attrezzo svitavo personalmente il bulbo, così era spento, chissà cosa avrà pensato l’operaio del comune, che quella lampada fosse stregata, forse …
Avevo un cliente che mi ritirava tutto quello che portavo, era uno che stava a Torino e lavorava alla Fiat, e mi diceva, però se io ti compro tu devi garantirmi la fornitura continua, io mi dicevo, come faccio, d’estate non c’era problema, ma in autunno con la foglia caduta o l’inverno con la neve non era così facile, allora avevo preparato un magazzino di scorta di là dal fiume, verso Cruscina, e al bisogno mandavo di qua la bricolla insieme a una balla di fieno, con un filo a sbalzo che avevo messo. Per rifornire il magazzino facevo così: portavo 2 bricolle per volta, non nel senso che portavo 60 kg, ma facendo brevi percorsi con un sacco che lasciavo lì nascosto dove potevo e ritornando a prendere l’altro, così in poco tempo in più portavo il doppio, certo la fatica c’era, ma quella era normale, poi noi eravamo forti.
“Io vivevo un po’ dappertutto, avevo diverse osterie sul percorso, e potevo accedervi a qualunque ora, ma “al Sempione” a Cannobio mi dicevano: vieni quando vuoi, qualcosa c’è sempre da mangiare e per convincermi, mi ha condotto in cantina dove c’erano diversi vassoi in terracotta, (bielle, sai cosa sono?) colme di pesci in carpione, vedi, quelli andavano benissimo, erano un po’ bruschi, ma così riuscivi a mangiare anche un po’ di pane, ma soprattutto a bere volentieri perché dopo aver fatto quelle ore di strada un po’ di sete c’era, poi andavo a dormire sul fieno della stalla vicina, passata qualche ora, al tempo giusto, riprendevo il sacco e andavo a destinazione, Aurano, Scareno, giù di lì.
Non ho mai smesso di lavorare per qualcuno, in Italia o Svizzera, la maggior parte dei viaggi logicamente sono stati fatti al venerdi notte e portati a destinazione al sabato o alla domenica”.
Il nipote che era presente al racconto, mi ha poi raccontato che non si fidava neanche di lui perché aveva paura che non ce la facesse e l’aveva messo alla prova diverse volte senza perdonargli niente in fatica, aveva iniziato con la missione di chiamare le capre, ossia come staffetta avanzata segnalante la presenza o meno dei militi. Più tardi, qualche volta, lo prendeva con sé, sempre con una prudenza e astuzia di comportamento straordinaria.
“Mi mandava a prendere un bottiglione di vino all’osteria a Colle, ma mi faceva fare un km di aggiramenti rispetto alla sosta della bricolle, dall’osteria, io dicevo, sono il nipote di … datemi un bottiglione, passerà lui a pagare, cosa che faceva regolarmente.
Era molto stimato perché è sempre stato corretto anche con me. Però che fatica con lui, aveva già 50 anni e io 18/20, ma non riuscivo a stargli dietro se non con grande fatica”.

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