Fragilità e illusione

palazzo parasi
palazzo parasi

Una comunità come la nostra può sentire il bisogno di uno strumento culturale che, oltre a riportare la cronaca, è stimolatore di riflessioni e approfondimento dei vari punti di vista, e che possa promuovere o diventare laboratorio di confronto e dibattito per le idee e la gestione del nostro territorio. Un punto di riferimento che, a breve memoria, c’è sempre stato in città, dalla pubblicazione oratoriana, alle varie formule giornalistiche che si sono susseguite.
La discussione spesso porta all’accrescimento della capacità di approfondimento ed esercitarla è sempre interessante. Fermarsi alla parte epidermica dei quesiti che ogni giorno affrontiamo, è tamponare e non risolvere. Per questo secondo aspetto si deve scendere nel merito delle scelte, snellire le procedure e programmare il futuro, senza affanni, con certezza di tempi, impegno e risorse.
Certo non è un periodo facile per lanciare un dibattito che venga colto di livello accademico, l’incedere della tornata amministrativa ed il tenore e livello del confronto-scontro politico anzionale non aiutano, ma tant’è, se i tempi sono questi, in essi c’è da vivere.

Da tempo siamo tutti convinti che a Cannobio le cose vadano bene e continueranno ad andare così, ma non è sempre stato come oggi. Nell’ultimo ventennio del secolo scorso, la classe dirigente del nostro contado, aveva davanti agli occhi i limiti e le prospettive della comunità. Pur non fasciandosi la testa cercava, non senza difficoltà, di dare risposte ad una condizione di benessere diffuso che mostrava qualche segno di discontinuità.
La crescita demografica autoctona e d’inclusione ci dava una spinta verso l’urbanizzazione di nuove località, i centri storici e le periferie, le quali allora erano ben distinte tra loro, venivano dotati ed ammodernati di reti e servizi.
Il primo PRG comunale, che all’epoca aveva ancora lo strumento concessorio e non autorizzativo di oggi, ci portava a governare e programmare la voglia di ampliamento urbano che traeva origine e dettato da un confronto consiliare (di tutti i cittadini che lì trovavano proporzionalmente rappresentanza) e altre parti sociali, che si sintetizzava in una Bozza Programmatica, la quale spingeva in una certa direzione di crescita, sviluppo e pianificazione le giunte pro tempore e seguenti. Di fatto c’era una larga condivisione del modello paese.

Questo risultato si raggiungeva con gran dispendio di tempo e discussioni, vedendo tutte le parti in causa orientate ad avere la cittadina che oggi viviamo, la quale pur mantenendo le caratteristiche di semplicità e curata sobrietà non spocchiosa, ha una raffinatezza che ci viene riconosciuta dai nostri ospiti stranieri ed invidiata dai connazionali della fascia più a sud del Lago.
Quella classe dirigente, con l’aiuto sostanziale e corposo di chi è venuto dopo, ha fatto di Cannobio un esempio da imitare per tutti i comuni rivieraschi limitrofi, sia per organizzazione, che per diffusione di servizi anche di avanguardia di cui si è dotata.
Nacquero in quegli anni il Consorzio depurazioni acque, il piano posteggi che assiste la viabilità cittadina, la Casa Protetta in sostituzione di un piccolo ed insostenibile ospedale, il campo sportivo Brocca, l’area PIP (poi artigianale- industriale -commerciale), la Scuola Media Intercomunale, il recupero di immobili a vocazione pubblica come il Palazzo Mandamentale, il Parasio ed inoltre le piste ciclo pedonali, l’area camper pubblica, il porto turistico cosi sciaguratamente perso e di cui tutta la comunità internazionale dell’alto lago sente la mancanza, ultimamente il Museo ed ancora si farà e certamente alcune cose sfuggono, ma la forma paese che viviamo partì allora e si è realizzata nel tempo.

Questa condizione generale di crescita, nata nelle sale della città, è di fatto un progetto compiuto con un programma di opere ed interventi o cadenzati con scienza, o realizzati quando le condizioni contingenti economiche, politiche e tecniche, lo permettevano. Ma tutto era già studiato ed almeno pensato, ove non già progettato e cantierabile.
Oggi Cannobio eventualmente con quella solidità di metodo, condivisione e progettazione programmata e realizzabile -nessun volo pindarico, ma cose concrete e possibili- ha ancora molto da discutere e progettare, anche se si scontra con la gracilità del contemporaneo. Noi piccoli e provinciali sentiamo il suono della protesta fatta sistema che ci assorda, il grido d’accusa e mai di proposta ci confonde pur senza affascinarci, la voglia del Noi che si perde nell’Io ancora non ci sommerge, anche se l’indifferenza ci segue da vicino.
Con la modernità ci tocca fare i conti, la fragilità che si manifesta in ormai continue interruzioni del transito sulla statale, di diminuzione sostanziale del flusso frontaliero cittadino, delle difficoltà di creare diffuse e certe opportunità di crescita del P.i.l. locale, da diffondere e ripartire tra le nuove generazioni, ci oscurano la visione. Quella che dovremmo avere sul futuro, da progettare e programmare come fecero gli altri.
L’illusione di poter sostenere anche solo un ridotto piano di crescita e/o miglioramento progressivo della cittadina, o di mantenimento dell’ordinario, con il quadro normativo e di risorse che abbiamo d’avanti a breve, sembra velleitario.
L’associazionismo che conforta il tessuto cittadino ci dice che questo gruppo di popolazione italiana e non, supererà questa difficoltà. Perché abituato a includere il nuovo venuto, recepire e valorizzare il valore delle differenze, raccogliere le risorse umane ed economiche per i progetti di utilità collettiva, pur nelle sue differenze di punti di vista e priorità, quindi è pronto anche ai tempi fragili ed illusori.
Importante sarà non smarrire il metodo, quello che ci ha portato ad oggi.

Ascoltare tutti, fare in modo che tutti si esprimano e possano riconoscersi, particolarmente partecipare all’aggregazione delle diversità. Non trascurare ed abbandonare nessuno, potenziare le modalità di aiuto del disagio che sempre più diffuso ci circonda.

Una ultima considerazione sulla nostra Cannobio da condividere per dare una lettura dello spirito cittadino e del suo antico radicamento. La nostra città, non molti decenni or sono, viariamente era mal collegata e operava gran parte dei suoi traffici socio commerciali con una rete di barconi che si collegavano alla Lombardia via lago. Lo spirito di quella marineria, come di tutte quelle del mondo, era ed è di non trascurare nulla per portare a casa il risultato, che coincideva con la traversata serena e produttiva. Inoltre ogni uomo o animale a bordo era meritevole di ogni attenzione legata alla sua sopravvivenza e certezza di un tragitto salvaguardato. Questo spirito di impegno, solidarietà e confronto ci aiuterà a guadare i momenti che ci si parano di fronte.

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