La mia mafia

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la mia mafia

Ho comprato tempo fa “Gomorra” di Roberto Saviano, ho aspettato 2 anni per averlo, perché immaginavo, così a pelle che era un libro difficile, duro, dove avrei trovato le più dure conferme su quell’argomento.
I miei figli ne avevano uno ciascuno, ma ho voluto averne uno personale da leggere e rileggere, come sto facendo.
Delle varie mafie, tutti sono stati informati, a mezzo di film, sceneggiati, libri, stampa libera, ed un inquadramento di tipo personale ognuno ha potuto ricavarlo.
Io ho immaginato che l’origine antica, forse borbonica, ha destato consapevolezza nei vari regimi e governi successivi, come d’altronde negli intellettuali autoctoni, ma né la prima categoria né la seconda sono mai riusciti a vincere il fenomeno distruttivo.
Oggi l’espansione del potere del livello superiore delle dirigenze delle mafie, è entrato da tempo nel tessuto economico generale soggiogandolo, lavorando indisturbato e sconosciuto.
Non è di queste analisi sociologiche che voglio scrivere, lasciandole a chi sa bene le cose e con grande coraggio e rischio le divulga.
Voglio trattare dei miei contatti, chiaramente non voluti, che ho avuto nella mia vita lavorativa.
La prima risale ad una trentina di anni fa.
C’era in Verbania un’impresa di costruzioni formata da tre fratelli dei quali il maggiore come da tradizione era il capo, gli altri dipendenti erano tutti giovani siciliani, come il titolare.
L’inizio della loro attività risaliva ad un rapporto a cottimo con la qualifica di carpentieri.
Erano bravi e quindi la nascita della ditta indipendente era la logica conclusione.
La mia conoscenza risale ad un cantiere dove io operavo per lo studio di progettazione e lui era il costruttore.
Da lì ho iniziato a fornirgli direttamente le opere in pietra che sono il prodotto della mia ditta.
Aveva una conduzione capace ed ordinata del cantiere e l’ambiente umano era giovanile, esperto e piacevole. Scoperto che eravamo coscritti sembrò che questo fatto fosse più che sufficiente per allargare la confidenza.
Quando andavo sui suoi cantieri per rilevare le misure tecniche, andavo a prenderlo nel suo ufficio oppure su uno dei suoi siti e lo accompagnavo anche per altre faccende sue, avendomi confidato che non aveva più voluto guidare nessun mezzo, dopo che un incidente in seguito ad una manovra di retromarcia di un mezzo guidato da lui, aveva causato un morto tra i sui colleghi e per questo o anche per questo era partito dalla Sicilia, portandosi appresso i suoi due fratelli ed altri quattro nipoti.
Ci scambiammo anche dei bottiglioni di vino.
Ognuno superlodando la rispettiva qualità. Mi presentò i suoi cinque figli maschi, ma poi la rispettiva provenienza, io piemontese e lui siciliano, frenò ulteriori concessioni.
Il rapporto di lavoro, però procedeva bene, anche se, si sa, che nel campo dell’edilizia a volte i pagamenti non fluiscono come accordato, però bene o male si riusciva a concludere.
Fino all’ultimo cantiere dove l’importo era di 50 milioni di lire.
E lì inizio la girandola di insoluti, di promesse, di reclami immaginari.
Arrivammo a decidere per un appuntamento chiarificatore definitivo e lui non venne, mandando il suo geometra con delega a trattare, che mi fece una proposta a saldo per la metà del dovuto, io non feci una piega e chiesi se quella fosse l’ultima parola e lui rispose che non poteva dire di più, io allora mi alzai e salutai. E feci quello che dovevo fare, lo citai in giudizio.
L’operazione giudiziaria durò 5 anni, ma alla fine ricevetti tutto il mio importo oltre agli interessi legali nonché dovette pagare tutte le spese di giudizio.
L’ultimo assegno me lo inviò, che serviva per liquidare la parcella del mio avvocato e il giorno dopo mi telefonò augurandomi di spendere quell’importo per spese mediche, informandomi che avendo vinto un appalto a Cannobio, sede della mia impresa, sarebbe venuto a visitarmi, omettendo di informarmi sullo scopo.
Non venne mai e poco tempo dopo le sue 5 imprese fallirono contemporaneamente. Non per colpa mia, s’intende.
Il tono dell’ultima telefonata, era chiaramente minaccioso, ed in quel momento avevo risposto: vieni quando vuoi, io sono qui.
In seguito ho ripensato qualche volta a quelle parole, ricordando che, in un’occasione che l’avevo accompagnato da un artigiano che costruiva serramenti metallici, dopo essere da lì ripartiti, dopo 10 minuti mi aveva detto: accidenti ho dimenticato la giacca! Sai avevo in tasca la rivoltella, e non è denunciata. Sai in questi tempi sto litigando con i miei nipoti, e non si sa mai!
Ricordai anche che loro sono nati a S. Giuseppe Jato, amena località nei pressi di Corleone, patrie rispettivamente di Giovanni Brusca e di “ZU Totò’ ossia Salvatore Riina.
Lo rivedevo spesso in occasione delle fermate ai semafori di Verbania, io alla guida di qualcosa e lui regolarmente a piedi, come mi riconosce gira lo sguardo e lo tiene fisso in un punto indefinibile, io lo guardo sempre e lo fisso finchè lo vedo. Non so se sto scherzando col fuoco.
La seconda storia riguarda il fratello di un noto pentito di camorra napoletana. Faccio i nomi, tanto sono conosciuti.
Ciro Galasso è fratello del più noto pentito Pasquale Galasso e si è stabilito a Verbania dove ha ed ha avuto numerosi affari, specie di tipo edilizio.
Me lo presentò un giovane geometra che aveva studio professionale a Cannobio, che conoscevo bene, la presentazione fu un po’ sibillina: questo signore possiede diverse Ferrari, quelle del cavallino rampante, quindi chiamiamolo così: Ferrari.
Il suo arrivo a Verbania come sorvegliato speciale era conosciuto dal momento che era stato su tutti i giornali locali, anche con foto. E quindi l’avevo visto anch’io, però stetti al gioco e abbozzai.
Cominciammo con i preliminari necessari per poter stilare un preventivo preciso e chiaro e cominciai a proporre prezzi al mq per lo spessore tipo, ossia 2 cm, si fa sempre così.
Io iniziai col proporre un prezzo di 95.000 lire per il Rosa Portogallo che conosceva e gli piaceva, subito mi disse: aspetta un momento, e si scostò di due metri ed accese il telefonino, da quella distanza anche senza volerlo capivo la risposta come lui, e quindi capii che il suo interlocutore gli rispondeva: 75, 80 anche meno, ritornando a parlare con me mi disse: vedi, lui me lo da per 65 anche 60.000 lire.
Io non battei ciglio e non feci proseguire il discorso, che continuò con l’esame degli elaborati che comprendevano la costruzione di otto villette più la villa padronale, quindi era un bel lavoro.
Arrivati all’analisi della villa padronale prevista in piano terra, 1° piano e 2° piano mi venne da definire il 1° piano con un termine architettonico piuttosto vetusto ossia “piano nobile”. A quel punto lui si fermò a riflettere a voce alta: e già io sono nobile!
Devo dire che l’avevo già inquadrato, ma questa frase, sebbene lui continuava ad appellarmi col tu, alla napoletana, mentre io rispondevo con il lei, alla piemontese, mi convinse che quel lavoro non era lì da farsi.
Il lavoro di costruzione generale fu eseguito da un’impresa di Cannobio con sede a Gravellona e alla fine dei conteggi si citarono in giudizio a vicenda e finì che l’impresario vinse la causa ed il Galasso dovette pagare oltre che finire in galera con l’accusa di truffa e calunnia.
Non era proprio lavoro mio!
La terza è più dolorosa:
mio figlio Daniele ha studiato al Politecnico di Torino per sei anni e per gli ultimi quattro in un piccolissimo appartamento insieme ad altri quattro studenti, per sua fortuna tutti del sud, due calabresi e due siciliani, figli di gente modesta, perciò non c’era da scialacquare e nessuno lo faceva, Lele compreso.
Ma erano ragazzi meravigliosi, ancora oggi sono molto amici, anche se sono ritornati alle loro residenze, ma i mezzi di trasporto odierni facilitano velocemente gli incontri.
C’era un’altro amico loro, lucano, che non viveva con loro, ma di uguale amicizia.
Suo padre era emigrato al nord, nella zona di Bergamo-Brescia e costruiva complessi industriali e commerciali di notevole valore. L’”Orio Center” all’uscita di Bergamo, sull’autostrada Milano-Venezia l’ha costruito lui, la sua residenza è comunque al sud.
Tutti questi ragazzi, oltre a quelli conosciuti in ambito di progetto di eco compatibilità che ha portato Lele in giro per l’Europa, sono poi venuti a Cannobio e sono venuti a battezzarsi alle Biuse, usando vino e non acqua, per il battesimo, sono venuti svedesi, ceki, romeni, sudanesi. In modo che a casa nostra si parlavano quasi tutte le lingue ad eccezione del cinese mandarino, del giapponese, dell’arabo, del chequa, dello swahili, della lingua degli innuit, bè in verità ce ne mancavano molte, ma riuscivamo a comunicare ugualmente.

Il genitore del ragazzo lucano volle conoscere la famiglia del Daniele e venne con suo figlio sulla sua Mercedes.
Mi espresse la sua contentezza per l’amicizia tra i ragazzi e parlammo anche di marmo, volle visitare il mio laboratorio e finì che fece un ordine di materiale Rosa Portogallo per un complesso che stava costruendo al sud.
La cosa mi fece mescolare due scopi per il viaggio che l’Associazione degli Artigiani aveva programmato per l’appunto in Portogallo, così andai a fare il gitaiolo, però un giorno che avevo destinato alla visita delle cave di marmo, io e mia moglie bigiammo e tornammo a Lisbona per salire sull’auto dei miei colleghi, uno italiano, l’altro svizzero, e ripartimmo per la zona dell’Algarve dove stanno le cave.
Vedemmo cose meravigliose relative al mio mestiere e mangiammo dei polletti arrosto che ancora ricordo come i migliori in assoluto.
Alla sera ci ritrovammo con l’allegra compagnia che nel frattempo era arrivata a Fatima ed il viaggio continuò.
Avevo comperato il carico di un tir.
Formalizzammo, con il mio nuovo cliente, il contratto, lui mi fornì i dati burocratici del caso, ci scambiammo numeri telefonici, ci scambiammo numeri per modo di dire, perché lui non mi passò il suo numero di cellulare, ma per me non fu importante.
Avevamo parlato anche del futuro per i nostri figli, che erano sulla dirittura finale per la laurea, del suo piacere per l’innesto culturale in atto tra i compagni di università, di quanto tenesse al futuro del figlio.
Fu un incontro piacevole, a cuore aperto.
Tempo dopo casualmente, mio figlio mi informò che il Signor …….. non usava cellulari, né il telepass, sulle prime pensai: ecco uno che non è schiavo del progresso eppure sa lavorare ad alti livelli! Bravo! Già ma come fa?
A successivo approfondimento Lele aggiunse: eh, perché così uno non è identificabile, per esempio il telepass permette a qualcuno di controllarti sul percorso, e così il telefonino, chiaro, no?
Le lauree piovvero sui diligenti ragazzi, mio figlio si beccò 107, non male.
Festeggiammo, subito dopo la proclamazione, sul terrazzo che fa da tetto alla facoltà di Ingegneria, c’era una folla di festeggianti, alcuni consumavano pane e nutella o salatini o dolcetti bevendo aranciata o coca-cola, noi fedeli alle nostre origini, gradimmo pane di Altamura, salame ferrarese, formaggio dell’alpe, vino e birra per gli astemi, cantavamo canzoni goliardiche, senza conoscerle, ma seguivamo l’onda.
A Torino abitano venticinque parenti da diverse provenienze, ma adesso sono tutti torinesi.
Poi, dopo qualche tempo seppi, da Lele e dai suoi colleghi che il ragazzo lucano dava segni di depressione, non rispondeva più, non si lasciava trovare, poi ritornò al sud.
Organizzarono, i piemontesi, i valdostani, i calabresi di Torino, i siciliani dalla Sicilia, una spedizione a casa sua, non li accolse, fermo nel suo mutismo.

Dispiacque molto ai suoi colleghi, anche perché un’amicizia scolastica è come tra commilitoni e dura tutta la vita.
Partecipai solitario al loro dolore e pensai che ci sono cose che non si possono capire.
Poi lessi il libro di Roberto Saviano, e credetti di capire, mi vennero i brividi.
Ho pensato alla quantità di problemi che ha avuto in ordine al conflitto morale, quel magnifico ragazzo che ho conosciuto.
Spero vivamente che non sia così.
Frank the Stories

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