I pesci del Giuan Pèton

la rongia
la rongia

Passavano il fiume a guado, quando l’acqua era bassa, i 14 dicenni che frequentavano il novello Istituto Commerciale “parificato” delle Scuole Orsoline, a Cannobio.
Se no il percorso era più lungo, normalmente lo percorrevano in bicicletta facendo il giro di Darbedo per la statale e traversando il ponte, ma trattandosi di ragazzi vispi come le anguille per loro era meglio il guado, quando potevano.
Passa e ripassa, non gli era sfuggita la presenza guizzante di numerosi, appetitosi, pesci che dimoravano nella rongia.
La “rongia”, o roggia, o canale, era appunto un canale derivato dal fiume cannobino a “carattere torrentizio”, che forniva energia elettrica ai numerosi opifici dislocati sul suo corso. C’erano in ordine discendente, una cartiera, il setificio, altra cartiera ed altre attività.
Vedere questi pesci guizzare e farne un progetto di razzia fu per un breve periodo un’idea fissa.
Che si trasformò tosto in un progetto operativo. Analizzato il manufatto idraulico, capirono i meccanismi meccanici, che regolavano l’apertura e la chiusura dell’erogazione idrica.
Capirono che periodicamente veniva interrotto il flusso per le operazioni di manutenzione delle turbine per la produzione di energia elettrica, in quel caso l’acqua veniva deviata nel canale di scarico verso il fiume, dando modo e tempo per le operazioni citate.
In quel caso i pesci si trasformavano da guizzanti in boccheggianti, per le gioia delle magre tavole famigliari del primo dopo guerra.
Capire il meccanismo di funzionamento, era già stata una dimostrazione di intelligenza, però si sa che i giovani non sanno aspettare, così, programmarono una chiusura estemporanea.
Dopo seconda verifica dell’impianto capirono che per aprire e chiudere le porte occorreva una chiave speciale.
Si trattava di ruotare un dado metallico da 10 cm di lato.
Certamente, qualcuno la possedeva, ma non era proponibile chiederla in prestito.
Il possessore di tale oggetto era il governatore dell’impianto e lo chiamavano Giuan Petòn, si sa che una volta la gente si conosceva più per soprannome che per nome anagrafico.
Dichiaro che so cosa significa Giuan e anche Petòn, ma non lo traduco per rispetto.
Il problema successivo era trovare un fabbro capace di realizzare, questa chiave, ma soprattutto di spiegargli quanto larga, lunga, e anche a che scopo sarebbe servita.
Niente paura, pensò il capo della combriccola, in fondo mio padre non vende forse i vetri?
E quindi con lo stucco per i vetri venne rilevata l’impronta, che consegnata al valido artigiano, si trasformò nella chiave voluta.
L’organizzazione dei tempi e dei modi è ancora un segreto, ma la cosa funzionò.
Un mattino qualunque di un anno che fu, qualcuno non fu a scuola, e la rongia si prosciugò,
il manipolo fu subito nel letto del corso d’acqua, munito di sacchi per la raccolta che si presentava invitante, quando, da lontano si udirono degli urli, qualcuno disse che erano addirittura delle bestemmie.
Dopo il primo istante di sconcerto, le parti avverse si riconobbero.
I pescatori di frodo usarono tutta la loro agilità per scappare, abbandonando l’agognata preda, ma sufficientemente svelti per non farsi riconoscere.
Al Giuan Petòn rimase la soddisfazione di avere lanciato la sua falce per produrre numerose scintille nei muri di contenimento della rongia, e la cosa parve finita lì.
A mezzogiorno e trenta erano tutti a casa, ed al pomeriggio erano tutti a casa, i discoli.
All’ora di cena serale la famiglia del capomanipolo, si riunì, come sempre, il padre chiese com’era andata quel giorno, la madre rispose: oggi ho dovuto tornare presto, perché è mancata la corrente al setificio.
La conversazione divagò altrove e la notte, sistematrice di tutte le rogne, fece il suo dovere.
E’ però vero che quella sera qualcuno non alzò la testa dal piatto e non fece nessuna domanda né nessun commento.

Passò il tempo, forse un mese, ma una sera, i coperchi che il diavolo non fa sulle pentole, balzarono in tragica evidenza, sotto forma di due schiaffi sonori, che si beccò il capobanda, con il commento lapidario del capofamiglia : “questi sono per i pesci della rongia!”
Eh, le pentole, i coperchi…
Era successo che il fabbro, quando il capofamiglia era andato per saldare i conti del periodo, aveva aggiunto: poi sai ci sarebbe anche quel conticino relativo a quella chiave a crociera da 10 cm di lato che mi ha ordinato tuo figlio, a nome tuo…
Evidentemente, quella era una famiglia di persone intelligenti, bastavano poche parole!
Frank the Stories

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