Mario Carmine e il Canarone

gli agrumi di cannero riviera
gli agrumi di cannero riviera

Previo accordo mi sono recato alla “Casa della Margotta”, luogo da dove la diffusione del Canarone ha avuto origine, consentendo la riproduzione e l’incremento degli esemplari su tutto il territorio di Cannero. I “si legge, si dice” si sprecano. La storiografia è avara di notizie. Qui si mette un punto fermo di partenza, arricchito da testimonianza “in voce”, alla storia “del Canarone di Cannero”.
Mi apre Ornella, e queste sono le sue parole.

<< Amareggiata, disgustata, delusa? Certo che sì, non può essere diversamente, si metta nei miei panni. Una vita a mettere in pratica e tramandare i sani principi di papà Mario e li vedi svanire non so se per ignoranza, cattiveria o egoismo di quanto ti circonda; un bel giorno apri gli occhi e ti sembra tutto diverso e ti chiedi: “Ho dormito prima o sto sognando adesso ad occhi aperti?”. Pensi alla disponibilità sempre offerta di tempo, di materiale e anche economica per il piacere di farlo, certo non solo io ma con altri volenterosi e tutti con lo scopo di far bello il nostro paese; ma io, da quando non c’è più, desideravo che ogni mia collaborazione servisse a tenere vivo il ricordo di papà. Aveva un debole per i fiori, in particolare delle camelie… Il primo ibrido lo dedicò al nonno Alessandro.
Col passare degli anni ci siamo trovati con una gran quantità di piante di camelie in giardino e con papà si parlava di fare qualcosa per diffonderle, farle conoscere. Nel 1994 lavoravo al “Cannero”, si erano liberati i locali ove c’era l’Ufficio Postale, la proprietaria Signora Maria Carla li mise a disposizione per realizzare qualcosa. La chiamammo CAMELIE IN MOSTRA, assente da Cannero dal 1984 fu un successo, in seguito con l’impegno della Pro Loco tornò a cadenza annuale. Le barche infiorate con papà in prima fila a dare consigli.

Abbiamo messo in piedi, sempre con altri volontari, i primi MERCATINI DI NATALE, nella piazzetta del Comune; in tanti a portare piccole cose fatte in casa per il piacere di far festa. Ricordo la Silvia Morisetti a fare giochini per bambini, c’era chi realizzava angioletti in gesso, il figlio del Pacek Paolo faceva orologi da tavola e li esponeva, io ne ho acquistato uno che funziona ancora e il Donini con la sua cioccolata calda. Erano i tempi del “tutti per uno, uno per tutti”.

Già … a lei interessa la storia del Canarone ma non potevo tenere separate le due cose, viaggiano insieme, sono lo specchio del modo di pensare e di agire di papà: generoso, altruista, innamorato dei fiori e di Cannero.
Siamo venuti ad abitare in questa casa nel 1956, il nonno aveva già realizzato una limonaia più sopra, ci fu un gran gelo che decimò le piante allora papà decise di rifarla più in basso in una zona che sembrava più riparata, un arancio lo avevamo sotto qui vicino a casa, più sopra un sanguinella e un vaniglia, a metà su un campettino poco più di un metro di profondità a ridosso del muretto retrostante una pianta di agrumi con frutti diversi dagli altri, sembrava un limone ma non era limone, sembrava un cedro ma non era un cedro, faceva tanti frutti e per distinguerlo dagli altri quando si raccoglievano avevamo preso a chiamarlo “limone rugoso”, non c’era un modo preciso del suo utilizzo in cucina, aveva un sapore strano, lo si consumava così come veniva senza particolari ricette ma era lì, per noi faceva parte della famiglia “agrumi”.

Arrivò la gelata del 1985 e anche in questo caso piante decimate compreso il “limone rugoso”. E papà a rimettere in piedi limonaia, arance, il cedro “Bajoura”, del “limone rugoso” non si sentiva la mancanza anche perchè era poco considerato. Passa qualche anno e nel fare la pulizia primaverile in giardino sulla pianezza dove c’era il “limone rugoso” ma non nello stesso posto, più avanti sul bordo del muretto sottostante e tra i sassi noto un arbusto nuovo sottile e con le foglie tipiche degli agrumi. Con papà si decide di lasciarlo per vedere cosa vien fuori. Era una pianta bella, vigorosa in pochi anni cominciò a fare fiori e frutti anche loro “rugosi”.
Papà nel timore di perdere esemplari in caso di nuove gelate prese a fare ciò che per lui era un gioco: margotte, una due tre quattro e via a distribuirle: “Se muore a me almeno che in giro si salvino piante da poterle riprodurre” sosteneva. Non era geloso, più esemplari esistevano in Cannero più alta era la possibilità di salvaguardare la specie.
Ricordo bene: abbiamo dato piante di “limone rugoso” al Giorgio Agosti, al Melezio, alla Lucia, alla Fiorangela, al Dellamora, al Gianfranco Giustina allora giardiniere all’Isola Madre in seguito mastro giardiniere di casa Borromeo e nel 2014 eletto “miglior giardiniere del mondo”.

Nel frattempo in Cannero montava sempre più il parlare di agrumi; la possibilità di ripetere l’exploit ottenuto con le Camelie di Cannero e abbinare gli Agrumi di Cannero alla sua storia si faceva sempre più concreta; c’era entusiasmo, almeno tra i proprietari di giardini con piante di agrumi. Stava maturando il sogno di un “Parco degli Agrumi” e come conseguenza una “Mostra degli agrumi di Cannero”.

mario carmine
mario carmine

Per ottenere un risultato il più possibile vicino alla realtà si era reso necessario interpellare persone esperte del settore, a quel punto determinante e decisivo fu l’intervento di Maria Pia Bottacchi, allora Sindaco. Prese in mano la situazione e cominciò a contattare le persone giuste. Dalla Toscana invitò i TINTORI, allora considerati tra i maggiori conoscitori di agrumi. E vennero qui i Tintori, un paio di volte, la pianta del “limone rugoso” li incuriosiva particolarmente: i primi giudizi portavano al “Canarone”, si rese necessario uno studio più approfondito, sempre a carico del Comune, presso il quale certamente esiste la documentazione, si diede incarico all’Università degli Studi di Torino, Dipartimento Colture Arboree per una ricerca al fine di stabilirne il dna. L’esito fu di un frutto della famiglia del “Canarone” ma con piccole differenze da quello toscano e da quello ligure.
Da quel momento il “limone rugoso” prese ufficialmente nome di “Canarone di Cannero”. Tutte le piante esistenti in Cannero di diritto potevano fregiarsi di tale nome.

Non so quante ne siano state riprodotte dalle margotte distribuite da papà o quante abbiano ceduto alle gelate che ogni tanto arrivano improvvise. La nostra quest’anno ha preso una botta! Nessun frutto, per fortuna l’insegnamento di papà mi è stato utile, qualche pianta c’è ancora in giardino e tanto mi basta. Devo anche precisare che dopo la suddivisione delle proprietà di famiglia la parte con la vecchia pianta madre del “Canarone” è passata a mia sorella Daniela Carmine.

Ho un rammarico: il mio obiettivo era quello di legare, come per le “Camelie di Cannero” il nome di papà Mario al “Canarone”. Non ci sono riuscita, forse sono stata illusa da un improvviso interesse generale: venivano a chiedere informazioni, la professoressa … non mi viene il nome … un paio di volte a far domande, fare fotografie e filmini, mi son detta che forse era la volta buona, qualcuno lo avrebbe fatto per me. Se circola qualcosa col nome di papà lo ritaglio e lo conservo. Niente. Leggo di un quintale di frutti all’anno, il Canarone sull’Arca Slow Food … ma tiratelo giù, mettiamolo sulla zattera di Cannero. Allora ho detto basta. E mi sono tolta da tutto. Qualcuno mi sussurra che sono cambiati i tempi.>>

Liberamente tratto da http://ilbastiancontrari.blogspot.com/2018/12/cannero-mario-carmine-e-il-canarone.html
Sul sito è possibile ascoltare l’audio con alcuni passaggi significativi dell’intervista ad Ornella.

Lascia un commento