La bambola sul letto

la bambola sul letto
la bambola sul letto

La bambola sul letto, è per me un ricordo nitido, l’ho rivista alcune volte rappresentata in vecchie fotografie. L’ho vista anche realmente in alcune abitazioni di parenti o amici.
Era bella questa visione, ma apparteneva normalmente alla consuetudine.
In seguito, crescendo in comprendonio, mi sono poi posto delle domande in ordine al perché o al com’è.
Espletando così, senza saperlo, una ricerca sociologica, come imparai poi che si definisse.
Quindi questa bambola, bella, paffuta, ordinata e vestita splendidamente, posta sopra le coperte di un letto matrimoniale, io l’ho immaginata come un traguardo da immaginarsi desiderato, sognato, agognato, in quanto in quelle case dove l’ho vista, la bambola, certamente nessuno possedeva abiti così e nemmeno avrebbe potuto, pur per caso li avesse posseduti, agghindarsi così.
Allora la ragione poteva essere un’altra, più dolce, più poetica, più consolatoria.
Ho allora pensato, pur non essendone sicuro, che si trattasse di una complessa trasposizione riguardante la consapevolezza della perduta giovinezza con l’ingresso nello stato matrimoniale, dove per le donne si sarebbe provveduto ad un gravoso apporto lavorativo, nonché, anche un sovrapposto contributo e doveroso incremento demografico.
La religione e la fede cristiana che ne derivavano avrebbero molto aiutato a portare a termine questa missione.
Però questa bambola sul letto luogo delegato al riposo dopo le faticose giornate, sempre impegnative, senza ferie e senza tredicesima, nonché sede autorizzata per il confezionamento della prole, ricordava “come ero bella”, però, prima.

Voglio legare questi ricordi infantili, con una storia conosciuta in età matura, (nel contempo mi domando seriamente, quando si può dire matura un’età?)
Mia suocera, sinceramente adorata da me, ha avuto l’esperienza della bonifica dell’Agro Pontino avvenuta negli anni ’35-’39 del secolo scorso durante l’epoca del ventennio, appartenendo ad una famiglia contadina ferrarese, siamo venuti in possesso di una vecchia foto ritraente la famiglia Magri nel 1938, anzi una parte della famiglia, quella di mia suocera, perché in verità i membri del gruppo famigliare erano 21.
La ragione era che “il Duce” voleva gruppi omogenei e corposi, in quanto “i coloni” avrebbero poi dovuto lavorare intensamente i terreni sabbiosi e salini, ed il risultato si sarebbe ottenuto dopo molti anni di lavoro duro, così di fatti è stato.
Ebbene questa classica immagine da fotografo ambulante rappresentava una famiglia di due genitori e di 7 figli, (il prossimo sarebbe nato in dicembre di quell’anno 1938 e raffigura la famiglia con il padre, la mamma e i figli, ma la cosa che mi ha colpito teneramente di più è proprio la mamma, che era incinta, e sembrava la nonna della situazione, ed aveva la fronte che rimarcava la differenza cromatica dove il cappello largo da contadina non aveva permesso al sole di completare la sua abbronzatura)
Chissà se aveva una bambola sul letto?
Siamo poi ritornati in pellegrinaggio, a Terracina, sessantanni dopo, con tutti i membri rimasti della famiglia, è stata un’idea nata, si può dire in un minuto, ossia il tempo di fare quattro telefonate.
Il germe del progetto era latente da tempo, perché la Pina, mia suocera, parlava spesso di questi dolci ricordi, ed io ascoltando e riascoltando, da istrione che sono, con quattro telefonate alla zia Tina di Torino, allo Zio Checo di Ferrara, allo Zio Nino anche di Ferrara, alla Zia Celestina di Cannobio, alla cugina Gabriella anche di Cannobio, mentre a mia moglie ed al mio giovane cognato non ho telefonato perché abita nella casa bifamigliare dove abitiamo tuttora.
Noleggiare un pulmino è uno scherzo da ragazzi, come lo è viaggiare per 2000 km. Così fu. Raccolti tutti nelle loro residenze, la tappa di avvicinamento fu Firenze, ah Firenze. Dopo cena a fine ottobre la stagione era ancora piacevolissima, e dopo cena la città, si può dire, era tutta nostra, e tutta così piccola, S. Maria delle Grazie, la piazza del Palazzo Medici, la copia del David di Michelangelo, il ponte vecchio, l’Arno, l’ultimo whisky prima di dormire, tutto così meraviglioso! per noi provinciali, poi…
La mattina dopo, ripartenza verso l’incognito traguardo, la traversata della campagna frusinate, l’arrivo finalmente a Terracina, nostra destinazione, dove arrivammo verso sera, e lì si potè verificare che sessantanni di interruzione non erano serviti per dimenticare i posti, le case, il vecchio pozzo, l’atmosfera della gioventù.
Avvicinandosi alla loro vecchia casa da pionieri, la tensione era palpabile, ma non ci furono dubbi o incertezze ed arrivammo direttamente in loco, strada 55 e mezzo tra Borgo Vodice e Borgo Ermada.
Il timore della presentazione fu risolto in un secondo, con la dichiarazione: noi vivevamo qua! Gli odierni abitatori non fecero una piega e dissero: entrate che si può bere e raccontare, poi, chiamarono la nonna che era alta e magra come un saracco, ma che parlava un puro ferrarese ed in un altro secondo il contatto è stato stabilito.
Parlarono, raccontarono, descrissero il lavoro e la fatica che servì, per trasformare una palude in un giardino terrestre, che era quello che vedevamo: palme, alberi da frutto, campi coltivati da amatore della natura, che era lussureggiante, poi il desiderio di un letto accogliente, che sarebbe arrivato dopo cena, ci fece trasferire a S. Felice Circeo.
Lì in un bell’albergo, tutto nostro, visto che era il 23 ottobre, e quindi noi eravamo forse gli ultimi clienti stagionali, potemmo sdolcinarci nei ricordi degli zii e dei cugini.
Al momento della torta, che mi apparteneva come obbligo, essendo il mio 55.mo compleanno, e “noblesse obblige” dovetti recitare il discorso ufficiale, che conteneva ricordi di tristezza, perché lo zio Tito, che era il più giovane della famiglia Magri, nato lì, era morto da poco, e mio cognato Claudio sarebbe partito presto per la Germania, dove risiede tuttora, giuro che usai una leggerezza plumbea per non provocare imbarazzanti commozioni, quasi ce la feci.
Il mattino, il golfo del Circeo operò il miracolo necessario, d’altronde, Circe, che era una dea, sapeva bene dove si stava bene, e poi ripartimmo per la “mission”, splendido mattino domenicale, sole e azzurro per tutti.
La piazza principale, edificata nel periodo fascista, dichiarava tutto il suo splendore, ricordando che non tutto quello che è stato, fu un errore.
La ricerca, oltre ai ricordi, era finalizzata al ritrovamento di un amico d’infanzia dello zio Checo, che abitava lì, forse là.
Però anche lo zio andò a colpo sicuro, e bussammo, lui ed io ad una casa, uscirono due giovani che sulle prime pensarono che fossimo vagamente dei poliziotti, capita la situazione il mio adorato zio, chiarì subito il motivo della visita: noi siamo qui perché cerchiamo il Signor X, ma non vogliamo farvi del male!
Questa sincerità vinse immediatamente le ulteriori riserve, ed ottenemmo l’indicazione del domicilio della persona ricercata, anzi, andarono loro a chiamarlo.
Arrivò dunque, lestamente, il compagno di infanzia dello zio.
Io non so perché sono così svegli quelli di quella generazione, ma loro impiegarono giusto quel secondo temporale che era servito il giorno prima.
Dopo sessantanni si sono riconosciuti, e si sono scambiati l’augurio tradizionale tra ferraresi: Cioo, com stat, chet iena un cancar!
Ovviamente è un’intenzione scaramantica, che significa: non ti venisse mai un cancro! Non quello che si può intender in prima battuta.
Tra uomini maturi, la commozione non è troppo trapelata, si fa così, tra uomini, però per evitare il rischio, ho chiesto il permesso di immortalare fotograficamente l’incontro, avuto il permesso, il vecchio colono disse: un mument, am vag a metar la ganasa!
Diceva: ho dimenticato la dentiera , quindi non potendo poi fare un bel sorriso, vado a metterla, torno subito però.
Quale modo migliore per vincere una montante commozione?
Il ritorno fu dolce e riposante, soprattutto per quelli che con diritto si lasciavano adagiare tra le braccia di Morfeo.
Io, che dovendo dividere l’incarico di conducente, con mio cognato, nell’incanto del silenzio percepivo un sottile profumo di una bambola sul letto.
Frank the Stories

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